Al momento stai visualizzando Quello strano senso di inadeguatezza e un paio di stivali con le zeppe

Sono nata grande. E quando dico grande, intendo fisicamente grande.
Quasi 4 chili di bambina pelosa e con lunghi capelli neri. La nonna Gaetana diceva che bella non ero.

A 8 anni, ne dimostravo 16. A 15 ne dimostravo 20. E non perchè mi truccassi o mi agghindassi, la prima minigonna credo di averla messa intorno ai 20 anni, quando dimagri talmente tanto da essere fiera delle mie ossa sporgenti.
Ero semplicemente grande, giunonica,come mi si definiva. Ma ero troppo piccola per capire cosa questa parola significasse, a me scherniva e mi faceva sentire a disagio.

Suor Pia, la professoressa di latino e letteratura, mi chiamava Giuliona. Lei, alta un metro e quaranta che correva come un furetto per i corridoi della scuola, quando mi incrociava si fermava e guardandomi dal basso all’alto urlava con estrema gioia questo nomignolo che fu motivo di imbarazzo per tanti anni.
Anche quando doveva interrogare non si faceva problemi a chiamarmi alla cattedra con quell’appellativo che per assonanza mi ricordava “Giunonica”. Non mi piaceva, ma non le dissi mai nulla.
Mi sentivo ormai condannata per sempre a essere imprigionata in un grande corpo.

Quando giocavo a pallavolo nell’under 16 le avversarie appena mi vedevano entrare in campo si spaventano. Salvo poi vedermi giocare 20 minuti dopo e rendersi che ero alta si, ma elevazione neanche a parlarne.

Così mi nascondevo dentro magliette enormi e pantaloni dislabbrati, per scomparire dentro qualcosa ancora piu grande di me.

Ero timida e riservata. Non lasciavo il nido se non per andare a scuola dove avrò fatto si e no 5 assenze in 10 anni, e per svolgere le attività che mia madre, preoccupata forse della mia solitudine (che a me piaceva), mi faceva fare: danza (mai persona fu più sbagliata per quell’arte di leggiadrìa e delicatezza), poi il tennis, la pallavolo, il nuoto, il pianoforte, le vacanze studio in Inghilterra.

A scuola scopro il teatro. Mia grande liberazione.
Mi vesto di panni che non sono durante quelle bellissime ore con il maestro Marco Cavallaro.
Scrivo i testi delle recite scolastiche con Elio, Carmelo e Pippo.
Le mettiamo in scena  di fronte al pubblico di genitori che ogni anno. un pomeriggio di giugno, in concomitanza con la chiusura delle porte della scuola si sedeva sulle scalinate del parco della scuola “Santa Maria di Gesù Redentore” applaudiva a noi studenti diligenti e attori alla ribalta.

Chiuso il sipario, tornavo quella di sempre. Quella che invece di andare al mare, passava i pomeriggi estivi con Suor Pia a fare ripetizioni di letteratura, e non perchè mi avessero lasciato il debito, ma perchè mi piaceva.
A 15 anni per il mio compleanno mi viene fatto un regalo con sorpresa, il libretto del lavoro, a quell’età per lo Stato Italiano potevo lavorare. E a differenza di quanto io stessa potessi immaginare, quel libretto lentamente cambio il mio modo di essere un pò a riccio.

Il primo lavoro infatti è stato bellissimo.
Affettavo salami, prosciutti, facevo panini e stavo alla cassa del mini market del campeggio dei miei zii, ero al centro della vita del campeggio, facevo anche i doppi turni al bar perchè dietro il bancone socializzare era più facile ed ero obbligata a farlo.

Poi ho lavorato come commessa presso il negozio di Cettina. 500 mila lire al mese.
Facevo la maschera al teatro Greco di Taormina, e guardavo ogni estate balletti, opera, teatro e cinema nel teatro più suggestivo del mondo. 70 mila lire a serata per sorridere, accompagnare ai posti e assicurarmi che tutto fosse ok.

Ero la più grande di tutti, fisicamente intendo. La più piccola di età. E’ sempre stato così, il corpo parlava di quanto avrebbe dovuto e più di quanto avessi voluto.

Mio padre mi ripeteva, l’altezza è mezza bellezza, in una terra in cui si spalleggia il detto che il vino buono sta nella botte piccola.
Me ne sono fatta una ragione con gli anni.  1 metro e 77 di altezza e 15 anni di età.

Ero diversa, o per lo meno io mi sentivo tale. In classe c’era Carlottina e poi c’era Giuliona. Il paragone non reggeva. 1 a 0 per lei.

Cambio strategia, voglio essere alla moda anche io.

Ci ho provato a essere fashion, salvo poi rendermi conto che riuscivo a distinguermi per dei gusti decisamente retrò.
La verità è che non mi è mai interessata la moda, così da perseverare con le zeppe anche quando queste vennero bandite dalle strade di tutta Italia, e mia sorella, che di moda se ne intende, mi faceva notare che non eravamo più ai tempi di John Travolta ne la Febbre del sabato sera.
Dovevo “svecchiarmi e mettermi al passo con i tempi”. Ma io quegli stivali con le zeppe non li ho mai buttati.

Perchè tanto ero Giuliona e non avrei mai saputo se chi mi guardava lo faceva perchè ero alta, perchè ero grande o perchè indossavo le zeppe.

Con addosso i jeans più logorati che avevo e le zeppe ai piedi, raggiungevo 1 un metro e 85 di altezza, quella sera in un piccolo paesino siciliano, salutai una volta per tutte quello strano senso di inadeguatezza e decisi che andavo bene così, demodè e con le mie idee strampalate.

 

Giulia Raciti

Nomade Digitale e free lance dal 2011. Mi occupo di SEO, SEO Copywriting e creazione Siti Web utilizzando Elementor

Questo articolo ha 5 commenti.

  1. Claudia

    Ah Giulia come ti capisco! Stesso problema pure io (alle elementari ero praticamente alta come la maestra) (e stessa antipatia per le suore). Ne soffri perché ti senti e ti fanno sentire una diversa, ma poi, crescendo impari che la vita delle persone “particolari” (non so te, ma a me ogni tanto mi definiscono così) magari è più complicata ma dà più soddisfazioni. Non siamo come la massa.. e per fortuna! :)

    1. Giulia Raciti

      Ahahah NESSUNA ANTIPATIA per le suore, Suor Pia è una donna splendida e lei tanto tanto piccola vedeva in me il gigante buono ed affettuosamente mi chiamava e mi chiama ancora oggi così. Ma oggi, mi rendo conto che ha ragione :-)

  2. ANNAMARIA

    Sei troppo simpatica Giulia.
    Vai avanti per la tua strada.

  3. elisa

    Grazie Giulia.

Lascia un commento