Al momento stai visualizzando Non dimenticare di indossare il casco

La mattina del mio sedicesimo compleanno i miei genitori mi hanno invitata ad andare in cortile.
In bella mostra c’era uno scooter Typhoon rosso fiammante che ha sancito il primo passo all’indipendenza.  Ho cominciato con il rendermi indipendente nella mobilità.

Da quel momento in poi a scuola sarei andata con lo scooter, così a tennis, a pallavolo ed alle lezioni di pianoforte. Ero libera di muovermi dovunque avessi voluto. 
Non che a Taormina non si possa camminare e senza un mezzo non si esca, vero il contrario.
Ma il paese è tutto un sali e scendi ed io abitavo alla fine di via Fontana Vecchia, in una delle strade che al tempo, il record non è più nostro visto che negli anni hanno costruito sempre di più sulla montagna, era la peggiore tra tutte, soprattutto con il caldo estivo

Inoltre, non conosco nessuno in paese che non abbia un mezzo a due ruote. Lo abbiamo tutti perchè permette di spostarsi agilmente, soprattutto nei mesi in cui la popolazione locale, che a Febbraio non supera i 4000 abitanti, quintuplica e ci evita lo stress del parcheggio che non c’è. La mia vita è cambiata con quel regalo. 

Mia madre per invitarmi a mettere il casco, che a quei tempi non era obbligatorio, ci ha provato con le buone e con le cattive.
Partita con i ragionevoli consigli sulla salute e la salvaguardia della mia vita siamo arrivate velocemente al sequestro mezzo se mi avesse incontrata per strada, o le avessero riferito (ed in paese tutti sanno tutto di tutti), che guidavo capelli al vento. 

Il motorino è stato sequestrato più volte ovviamente.

Eppure di quegli anni di lotta per la mia libertà di scelta se indossarlo o meno – ricorda qualcuno questo appello? – era solita dirmi che sebbene lei avesse fiducia di me al volante non poteva riporre la stessa fiducia negli altri. Il casco dovevo metterlo, senza invocare l’articolo 13 della Costituzione.  

Quella stessa mancanza di fiducia che mia madre aveva, probabilmente ha ancora, nei confronti di chi, senza mezzi termini, se ne frega degli altri, oggi è anche un po’ mia. 

Mi sono rifiutata di guardare le immagini della manifestazione di ieri 2 Giugno a Roma.
Mi sono limitata a leggere articoli di giornale evitando con cura di perder tempo sui social che acuiscono la frustrazione e che mi hanno fatta scoprire con una soglia di sopportazione tuttologhi da social ben più bassa di quanto credessi.

Che senso ha cercare di spiegare, o ragionare insieme, a chi a domanda risponde con altra domanda o che invece di commentare un fatto risponde con un “e allora ****?”. 

Non ho mai sopportato chi deve necessariamente trovare esempi negativi per ricordare che c’è sempre qualcuno o qualcosa peggio. I negativi cronici mi trascinano nell’inferno dell’infelicità.

La sempre meno frequente presenza sui social mi permette di vivere in quel mondo sicuro in cui vige il buon senso, il senso comune, quello per cui semplicemente è giusto, corretto e sano agire con senso civico, displina che ai miei tempi si studiava a scuola ed a cui si dedicavano due o tre ore di lezione a settimana. 

Senso civico e responsabilitò, un po’ come per esempio mettere il casco, stipulare una assicurazione di viaggio, rispettare i limiti di velocità o, ancora e più banalmente, rispettare le file, pratica che amo particolarmente. 

Ad inizio pandemia il Paese sembrava unito in quel dolore che ha colpito più forte alcune regioni piuttosto che altre. Alcune famiglie piuttosto che altre. È stato bellissimo scoprirsi uniti per una causa che era la stessa per tutti. 
Ci si è chiusi in casa e, finchè sembrava tutto nuovo e metteva molta paura, si cantava ai balconi, ci si prodigava per aiutare. Siamo diventati panettieri e chef provetto.
I contatti umani paradossalmente si sono intesificati grazie alle nuove tecnologie.
Si è capita l’importanza degli operatori sanitari che, in prima linea, hanno messo a repentaglio la propria vita, più di me che ho invece solo attentato alla mia linea. 

Poi tutto è cambiato. Quell’Andrà tutto bene si è trasformato in rabbia alimentata da fazioni politiche che puzzano di tifo da stadio per cui è facile dire cosa non va e colpiscono dritto allo stomaco di chi, in questi mesi, è passato da direttore tecnico calcio a virologo ed esperto di infettivologia, di economia e di gestione della cosa pubblica.

A questo crescente odio, che solo per un momento si è attenuato, breve ma intenso, si sono aggiunti i complottisti, quelli che dicono che è tutta finzione, che il 5G è pericoloso, che le mascherine provocano il cancro e che presto avremo i micro-chip sotto pelle.
“HO IL DIRITTO DI DIRE QUELLO CHE PENSO” oppure “QUESTO E’ IL MIO PENSIERO E SONO LIBERO DI ESPRIMERMI!”
Che noia!

Ho quindi smesso di frequentare i social.  Ne ho guadagnato in tempo e salute mentale.
L’ardore e la passione che mettevo per invitare a pensare, leggere, approfondire e discuterne mi è un pò parso tempo prezioso che stavo sprecando.
Perchè da che ricordi ho provato, a modo mio, a cambiare il mondo credendo, scioccamente forse, che il dialogo fosse l’autostrada per il cambiamento.
Delusa ho dirottato questa energia su altre cose. 

Lo smart working è qualcosa che faccio da 10 anni, quindi non è cambiato molto nella mia vita da quel punto di vista.
C’è che non lavoro da Febbraio e che ho investito gli ultimi 8 anni della mia vita sul settore che sta pagando i costi della pandemia più di altri.  
Ma che andrà tutto bene lo credo davvero. Non è la prima volta che perdo tutto e devo ricominciare. In questo caso mi sembra che debba solo attendere, utilizzare con parsimonia i miei risparmi e fare quanto negli scorsi anni ho accantonato perchè le priorità eran sempre altre. 

Vedersi crollare il lavoro di 8 anni è stato deprimente. Ho pianto, non ci ho dormito la notte e ho avuto paura. Ma ho superato anche questa fase perchè è chiaro che il mondo non si fermerà. Perchè non può e anche perchè non vuole. 

Speravo però che se ne uscisse armonici, cooperanti ed uniti. Al momento la direzione non sembra questa. Chi era incazzato prima lo è ancora di più oggi. Ed i limiti della società della libera parola, di cui usufruisco anche io in questo momento, mi fanno rimpiangere gli anni pre-social. 

Ho deciso di mettere il casco ed ascoltare i consigli di chi ne sa più di me. Indosso sempre la mascherina e continuerò a disinfettare le mani, rispetto le regole, anche quelle che non sempre condivido.  
Torno a guidare lo scooter con le condizioni che mi hanno imposto e torno a muovermi in sicurezza, seguendo le semplici regole del rispetto che, se adottate da tutti, sono molto probabilmente la soluzione, lasciando che la normalità, o la nuova normalità, arrivi in maniera graduale senza dimenticare nessuno. 

PEACE 

Giulia Raciti

Nomade Digitale e free lance dal 2011. Mi occupo di SEO, SEO Copywriting e creazione Siti Web utilizzando Elementor

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