«Avevo solo due alternative – restare all’ufficio postale e impazzire… o andarmene e giocare a fare lo scrittore e morire di fame. Decisi di morire di fame» – Charles Bukowski
Non è invito a lasciar tutto nè scappare via senza pensarci troppo. La mia non vuole neanche essere una critica a chi ha questo ideale in testa e ritiene che la felicità sia data da uno stipendio che sia sempre lo stesso, così il tuo datore di lavoro, la tua scrivania e quel modello di vita che da oggi a quando si andrà in pensione, se si andrà in pensione, dovrebbe scorrere piu o meno come sempre. Un modello predicato e che i nostri genitori tutti sperano possiamo mettere in pratica.
Si tratta piuttosto di una mia incapacità a capire cosa si intenda per posto fisso.
Questa è infatti una mia convinzione maturata in seguito a scambi di email con una amica che su queste due parole: POSTO-FISSO, ripone delle aspettative che l’Italia non può soddisfare e che, dopo anni di vita all’estero, trovo un attimo anacronistiche.
Non sarebbe più giusto dichiarare che non si vuole vivere da precario a contratto a 6 mesi ma avere, invece, la possibilità di crescere all’interno di un’azienda seguendo un percorso naturale che nel tempo potrebbe renderti elemento chiave nel successo dell’azienda stessa piuttosto che prostituirsi al miglior (o peggior) offerente o prendere la prima cosa che capita, perchè è tutto oro quello che cola?
E aggiungo. Non sarebbe meglio cominciare a pensare in termini di NON UFFICIO, quando si tratta di professioni che non richiedono necessariamente la tua presenza dietro una scrivania perchè puoi svolgere la tua mansione tranquillamente da casa o da dove preferisci?
Ti racconto una storia…
Avevo 22 anni. Lavoravo all’ENIT (Ente Nazionale per il Turismo). Andavo ancora all’università ma avevo finito gli esami un anno prima e quindi a parte la tesi da scrivere non avevo granchè da fare. La fortuna volle che il mio professore mi chiese di andare a lavorare per lui come PA (Personal Assistant).
Avevo 22 anni, la laurea in tasca, uno stipendio da quasi €2000 al mese ,un impiego presso un ente pubblico, una vita tranquilla senza troppo lavoro che mi massacrasse, se non svegliarmi la mattina per la rassegna stampa, una posizione che quanto a creatività lasciava un pò a desiderare. Senza alti nè bassi.
Ero la piu giovane in un ufficio di cinquantenni. Gente che li dentro ci stava da una vita. Sono diventata la figlia di tutti, coccolata e voluta bene.
Si presenta il momento del concorso per entrare come dipendente a tempo indeterminato, che in Italia, a grandi linee, se hai un “aiutino” puoi ottenere, e io questo aiutino lo avevo, se avessi voluto.
Invece due settimane dopo la mia laurea lascio l’Enit, lascio il mio stipendio, non prendo in considerazione il concorso.
O meglio. Non prendiamo in considerazione il concorso.
Io e chi? Io e il mio “aiutino” che senza sapere che avevo già preso la decisione di non rimanere li dentro mi convoca per una chiacchierata, una di quelle che facevamo spesso e volentieri.
Stavolta non aveva a che fare nè con la filosofia, nè con i viaggi, nè con il giornalismo.
“Giulia, come sai tra qualche settimana ci sono i concorsi per entrare qui dentro. So che se ti candidi anche senza una mia intromissione molto probabilmente entreresti, hai tutte le carte in regola per farlo. Ma tu vuoi questo?”
“No, Franco”, rispondo, “Sento che devo andare. Non so dove, non so a fare cosa. Ma devo andare o qui in 1 anno impazzisco.”
“Da te non potevo che aspettarmi questa risposta. Tu farai qualcosa di grande”.
22 Luglio 2002, vestita di rosso seduta di fronte a una commissione di laurea, termino il mio percorso di studi. Baci, abbracci, fiori. Corro in ufficio, perchè avevo preso mezza giornata libera giusto per la discussione, e do il via all’ultima settima di lavoro.
Mio padre ancora oggi, 12 anni dopo, non mi perdona l’aver lasciato il “million dollar job” e non perde occasione per ricordarmi che oggi, se fossi rimasta li dentro, non sarei la zingara che sono, che probabilmente avrei una famiglia, una macchina e, per la sua gioia, un figlio. Forse anche due.
Due mesi dopo per casualità trovo lavoro come account manager, prima, diventata project manager, dopo, e comincio a lavorare in una web agency. Erano gli ultimi anni in cui Internet era definito il Grande Flop. Ma d’altronde anche la mia tesi di laurea vene trattata da alcuni professori universitari come insensata e un buco nell’acqua.
5 anni dopo, lascio anche questo lavoro, ero annoiata e sebbene cercassi alternative non trovavo lavoro neanche come cameriera ad agosto a Campo de’ Fiori. La situazione futura mi sembrava grigia e mi spaventai. Mi vedevo fare qualcosa che non mi piaceva chissà ancora per quanto.
Parto per Londra con €2000 in banca. Era arrivato il tempo di cambiare senza sapere cosa mi stesse aspettando.
A Londra 4 anni dopo si propone lo stesso scenario, un corso e ricorso che ormai conoscevo molto bene.
Un lavoro molto ben pagato, ogni Natale ricevevo come regalo premio £4000 e un bell’aumento di stipendio. In 2 anni guadagnavo £14.000 in più rispetto il giorno che firmai il contratto ed entrai in azienda. Un posto fisso, ovvero un contratto a tempo indeterminato che potevo interrompere quando volevo, previo un mese di anticipo.
Lascio tutto e parto per il giro del mondo.
Oggi, a 4 anni di distanza da quel 15 Gennaio 2011, so che in quell’azienda non c’è piu nessuno delle persone che lavoravano con me. Se ne sono andati tutti.
Facile capire come la corsa al “posto fisso” sia difficile da comprendere in contesti lavorativi extra-italiani. Nessuno di noi, me e i miei ex colleghi, riceverà l’orologio fantozziano come ricordo per i 40 anni di dilegente lavoro presso la stessa azienda.
Ma allora questa ossessione per il posto fisso? Importa davvero di più la garanzia di rimanere dentro una azienda (pubblica o privata) vita natural durante, piuttosto che il cosa si fa?
Sono sicura di no.
Ma lo sono se si parlasse di un Paese dove il concetto di mobilità ed opportunità, come di meritocrazia fossero pilastri imprescindibili sulla base dei quali un’azienda decide di investire su un candidato e tu ti senti responsabile di questo atto di fiducia, no dove devi ringraziare per l’opportunità data e per 400€ al mese di rimborso spese, per 8 ore di lavoro al giorno (guadagni di più a servire caffè al bar).
In un Paese dove il lavoratore è visto come un investimento su cui puntare, e quindi spendere soldi, non come un portantino che tanto se non gli sta bene ce ne sono tanti altri a fare quello che fai te pure per meno.
Non è quindi questione di “posto fisso”, è solo questione di una sana ricerca di un mercato del lavoro che gratifichi e che nobiliti. Che non ti umili e affondi rubando anche quel filo di speranza che alimenta sempre più giovani che sanno fare ma, purtroppo, non hanno nè gli spazi nè gli strumenti per dimostrare che possono fare la differenza.
Se non si investirà nei cervelli attivi e vivaci, questi si atrofizzeranno o, purtroppo, se ne andranno dove saranno apprezzati e valutati onestamente.
E ditemi pure che si deve rimanere a combattere per un Paese alla deriva…sono una vigliacca e non ci sto, mi dispiace.
Comprendo il dolore, la frustrazione e l’annichilimento che vive chi vorrebbe fare ma si trova con le mani legate e non sa più a quale Santo accendere un cero.
La guerra non deve essere combattuta per il posto fisso, quanto per condizioni di lavoro che gratifichino, compiacciano e rispettino il lavoratore. Una lotta per avere la possibilità di decidere di cambiare e crescere lavorativamente ed eventualmente cambiare, nel caso in cui non ci si senta la persona giusta nel posto giusto.
E se tanto mi da tanto, quanto vale andare via e tornare in Italia per le vacanze. Che tanto il mare è sempre bello e splende sempre il sole.
Volevo studiare filosofia. Ma mi dissero che se lo avessi fatto avrei sancito un patto per sempre con il demone disoccupazione. Così optai per quello che il mercato voleva e che apparentemente mi offriva sbocchi. Studiavo filosofia da sola nel mio tempo libero. Perchè per nulla al mondo avrei lasciato un mercato in crisi uccidere quel sogno.
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Post scaturito in seguito a conversazioni con amici con e senza posto fisso…
Ho fatto una cosa simile rinunciando a un lavoro da 40.000€ più bonus e rimborso, e un anno dopo, non me ne sono pentito. Come dice il buon Charles, non ha senso sacrificare tutto per un buon lavoro, solo per avere i soldi. E il posto “fisso”, che ormai di fisso ha poco: l’economia è troppo dinamica oggi per sperare di lavorare 40 anni nello stesso posto.
Io penso che più che il lavoro, una persone oculata si deve concentrare sulle competenze: imparare a fare qualcosa di utile, diventare esperto in qualcosa (possibilmente quello che piace). L’esperienza te la porti dietro da un lavoro all’altro, ed è quella che fa la differenza.
Esatto, finchè non si capisce che il posto fisso era una concreta realtà dei tempi dei nostri genitori e oggi è un ideale anacronistico ci si arrovellerà per sempre, perchè i tempi sono cambiati.
Internet sta facendo il suo in questo cambio del mercato, e se non si sta al passo con i tempi si rimarrà schiacciati e si continuerà a sperare in qualcosa che ormai, mi pare, appartenga al passato.
Infine, ricordo benissimo quando una HR amica mia di Londra mi disse “Se stai più di 6 anni in una stessa azienda ricoprendo sempre la stessa posizione senza avanzare, il tuo profilo sembrerà quello di una lazy one, e se ti manca il dinamismo e l’iniziativa non verrai mai preferita ad altri”.
Una posizione molto diversa da quella che mio padre ancora oggi mi rimprovera (amorevolmente…visto che non capisce che cosa faccio per vivere).
Quanto mi piace questo post, Giulia!
Io, un anno fa, ho lasciato il mio lavoro perfetto per un futuro da freelance incerto.
Se tornassi indietro lo rifarei subito.
Bisogna essere delle gran “rolling stones” a questo mondo.
Muoversi ed essere dinamici, per crescere e diventare grandi.
Mi piace “bisogna essere dei Rolling Stones”! CIAO!
Cara Giulia, grazie. Hai detto in modo semplice e diretto una cosa che penso da sempre e che ho sempre agito. Cara Giulia, lasciatelo dire, sei una grande!
Cara Giulia,
non posso che essere d’accordo con te in quasi tutto quello che stai dicendo. Io pure ho rinunciato a più di un posto fisso, e credo che se non lo avessi fatto forse avrei molti più soldi, ma non avrei visto diverse realtà e punti di vista e non mi sentirei sempre più a 360°.
Un anno fa sei stata la mia musa ispiratrice per un viaggio in Centro America, a seguito dell’ennesima rinuncia ad un posto fisso in cui la situazione stava diventando insostenibile. Io non ho carte splendide da giocare come te, non una laurea brillante e forse non la tua dinamicità ed iniziativa, anche se in quanto a capacità non credo di essere proprio da buttare. Al mio rientro in Italia ho cercato di inventarmi un lavoro, ma purtroppo non ha funzionato per vari motivi… ho provato allora a fare delle cose diverse da quello che avevo fatto prima, come ad esempio il WWOOFing (bellissima esperienza!) e anche un lavoretto nel sociale, nel quale la situazione era esattamente come l’hai descritta tu: pagata una miseria, trattata malissimo, fuori dalla porta ce n’erano altri 20 pronti a prendere il mio posto… e stavo lavorando con i bambini!!!!
Sto ancora cercando la mia dimensione, finora non l’ho trovata… e ora mi sto chiedendo se sia il caso di emigrare o meno. Credo che me la saprei cavare, anche se magari il lavoro non arriverebbe proprio subito. Più di un soggiorno all’estero l’ho fatto. Parlo 3 lingue straniere, tra cui un Inglese più che decente. Non sono un mostro in iniziativa ma non credo che sia una condizione irreversibile. E allora perché resto qua??? Perché ancora cerco di credere in questo Paese? Perché sento forti le mie radici in questa terra. E 2-3 settimane di vacanza all’anno non basterebbero a colmare il vuoto che la distanza mi lascerebbe nel cuore. E anche per un’altra ragione, che sembra contraddittoria ma non lo è: tutte le volte che me ne vado e poi torno mi rendo conto dell’assurdità di questo Paese. Ma un conto è stare via qualche mese, un conto è stare via anni e disabituarsi completamente a certe logiche… mi sa che non riuscirei più a lavorare qui. Già di mio sono allergica alla rassegnazione e alla sottomissione incondizionata. Se poi trovassi un posto di lavoro in cui mi RISPETTANO… figuriamoci! Quindi non tornerei più e soffrirei un sacco sentendomi in esilio… non so, tutto questo mi spaventa… forse anche la mia è vigliaccheria?
Ciao Elisa, non credo sia vigliaccheria, credo che sia una sana paura perchè non sai quello che ti aspetta e perchè sei realistica e sai benissimo che andare via non significa automaticamente vita migliore, subito. Significa fare il primo passo e lavorare sodo. Esattamente come ho scritto in questo post
Vi è infatti l’errata convinzione che la mossa di coraggio stia nell’andare via. OH no, quello è il primo passo di una lunga camminata.
Una volta arrivato bisogna lavorare su più fronti. I miei primi 10 mesi a londra sono stati durissimi, ho creduto che forse dovevo mollare. Invece mi diedi una chance. E decidi che se in 2 mesi, questo dopo i primi 10 lavorando come cameriera a £1100 al mese (quando di casa ne pagavo £550), non trovavo il lavoro che desideravo allora tornavo. Cercare lavoro è un lavoro, soprattutto quando è la tua prima esperienza significativa in un Paese che non è il tuo. Stavo seduta al computer 12 ore al giorno, la testa scoppiava, mandavo pochi cv ma mirati, scrivevo ogni volta una nuova cover letter.
L’ho trovato dopo 2 settimane di ricerca e lì ho assaportato le gioie di lavorare in un contesto onesto dove nel giro di due anni ero cresciuta.
Questa è la mia storia ovviamente. Ma credo che chi si impegna non possa che riuscire. E’ chi crede che tutto gli sia dovuto o che basta andare via per svoltare.
Perchè mai dovresti sentirti in esilio? Ma come si può pensare a una cosa del genere quando si vive in un mondo globalizzato e che non ha più frontiere? Quando un volo Londra-Roma prende meno che un treno Roma-Sicilia. Quando i costi per muoversi sono abbattuti e ti costa meno un volo Ryanair che un treno Bologna-Milano?
Io so solo che ogni volta che torno in italia e sento i commenti dei miei amici mi arrabbio e mi rattristo allo stesso tempo. So che ho fatto 3 lavori contemporaneamente, in piu occasioni, per arrivare a fine mese e non mi lamentavo ma lavoravo come una formica.
Ho lasciato tutto perchè un esilio socio-culturale nel mio Paese mi pesava di più che un volo di meno di 3 ore.
In bocca al lupo per tutto!
Giulia
Pingback: AAA NOMADE DIGITALE. Voglio fare il tuo lavoro! Si, ma quale dei tanti?
Cara Giulia, ho deciso di fare così: compro un biglietto di sola andata per Berlino, con assicurazione di annullamento totale, partenza il 7 gennaio. Se nel frattempo trovo lavoro lo annullo… altrimenti parto! E adesso sarà il destino a decidere. Grazie comunque per la risposta e in bocca al lupo pure a te.