Dopo mesi di pensieri e considerazioni sono arrivata alla conclusione fare la travel blogger non sia la mia strada. Figuriamoci se voglio diventare influencer, quando predico la meraviglia della diversità e della necessità che ognuno decida senza farsi influenzare da nessuno.
Chi ha un blog di viaggi e vuole fare diventare questa passione un lavoro dovrà, ad un certo punto, fare i conti con l’obbligo di viaggiare. Viaggiare, anche quando non ti va.
Però la strada che il travel blogging, ed il blogging in generale, ha preso, ammetto mi ha stupito.
10 anni fa non avrei creduto, nemmeno lo immaginavo, che oggi si arrivasse addirittura a parlare di influencers e di masse di persone che con applicazioni, tipo Instagram, potessero passare ore della propria giornata tartassati da messaggi facendosi letteralmente i fatti degli altri.
Mi rendo anche conto che effettivamente il blogger, oggi l’influencer, è un interlocutore interessante con cui le aziende parlano per veicolare i messaggi a pubblici ampi ed accessibili. Fair enough.
Appoggio e comprendo la dinamica eppure non riesco a piegarmi a logiche di mercato che prendono piede.
In questi anni ho sempre rifiutato collaborazioni e viaggi pagati, ho questa tendenza masochista a provare piacere nel pagarmi tutto e non fare il minimo sforzo a trovare escamotages vari che so esistere. Se i soldi non li ho sto felice a casa.
E’ come se qualcosa accozzasse tra me e quella che pare essere la naturale evoluzione di un blog di viaggi, che in effetti se vuole promuovere destinazioni dovrebbe per forza di cose collaborare con enti ed aziende.
Mi rendo conto che sono importanti queste collaborazioni ma io non ce la faccio. La testa mi dice che ha senso, la pancia mi dice che starei sbagliando tutto.
I motivo in verità ci sono, e sono anche molti.
- Ho capito che ODIO scrivere in continuazione di viaggi, perchè le mia impressione su un posto è una, e doverla scrivere in diverse salse mi annoia.
- Ho capito che di viaggi spesati e toccate e fughe non ne voglio più sentir parlare, uno è bastato per traumatizzarmi abbastanza
- Ho capito che viaggio solo ed esclusivamente se ne ho voglia e soprattutto il dove lo voglio decidere io, il viaggiare tanto per viaggiare mi stanca ancora prima di partire.
- Ho capito che adoro stare a casa in pigiama a fare niente per giornate intere e concedermi al massimo un gelato sotto casa
- Ho capito che nonostante sia estremamente espansiva e socievole non gradisco il dover condividere troppo di me, la sento come una invasione. Non mi piace dire dove sono, con chi a fare cosa.
- Ho compreso che l’esposizione tramite i Social, che ci vogliono interattivi e scattanti, belli, solari e sempre felici, non mi rappresenta e non mi piace. Non riesco a stare al passo di tempi che adesso vogliono tutto istantaneo e volatile. A me è sempre piaciuto pensare in maniera solida e duratura.
Ho trovato la mia strada grazie al un blog nato per scherzo e con lo scopo di aiutare ma soprattutto svegliare da un certo torpore i miei connazionali.
La modalità di viaggio, in 10 anni di “carriera”, è cambiata. Dedico mesi ad una sola destinazione ed alterno mesi a casa con altrettanti in giro.
Dopo la malattia di mio padre, ho deciso di dedicare più tempo ai miei affetti, quasi sentendomi in colpa per le lunghe assenze dando la mia famiglia per scontata e, soprattutto, sempre presente.
Un viaggio alle Galapagos si è rivelato una svolta nella mia vita, mai e poi mai avrei potuto credere che quel luogo potesse nascere un progetto in cui credo e che mi fa felice, soprattutto perchè ho dato fiducia a una persona che da solo non ce l’avrebbe mai fatta.
Forse semplicemente questa era la mia strada, a metà tra l’etico ed il business. Mon mi farà mai ricca di portafogli, ma evolvendo negli anni, mi ha resa per lo meno orgogliosa di me stessa.
Vorrei fare qualcosa che duri nel tempo piuttosto che seguire una moda, forse temporanea forse no, in cui comunque non mi sento particolarmente comoda.